Ritorno in ufficio: che cosa sta facendo WeWork per renderlo possibile

Abbiamo studiato i dati interni e rinnovato i nostri spazi, per consentire ai dipendenti di interagire direttamente

Mentre la pandemia entra nel suo ottavo mese, le aziende stanno cercando di determinare non se, ma quando riportare i dipendenti in ufficio e, cosa più importante, come farlo. Alcune persone della nostra rete sono sorprese di sapere che molti dipendenti WeWork sono tornati nei nostri uffici a partire dalla fine di giugno, rendendo WeWork una delle prime grandi aziende ad occuparsi del ritorno al lavoro del personale.  

Stiamo affrontando questa complessa problematica in modo da adattarci costantemente all’evolvere della situazione, cercando sempre di trovare il giusto equilibrio tra sicurezza, produttività, logistica e richieste dei dipendenti. Dopo che ci è stato suggerito di comunicare in modo più dettagliato il nostro percorso e i risultati ottenuti, abbiamo deciso di attivarci in tal senso per le nostre sedi di New York. Ci siamo concentrati su New York City perché si è trattato di uno dei casi più complessi, e prendere in considerazione i diversi approcci che abbiamo adottato in tutte le regioni del mondo non era semplicemente fattibile in un articolo.

Come abbiamo formato una task force

Per le prime otto, dieci settimane dal provvedimento che imponeva di restare a casa a New York e nel New Jersey, siamo stati tra quelli più disponibili e per certi versi sollevati per quanto riguardava la prospettiva dello smartworking. Tuttavia, trascorsi due mesi, abbiamo iniziato a renderci conto — nonostante tutti i riscontri positivi dei dipendenti relativamente allo smartworking e agli articoli di stampa che decretavano la fine del tradizionale lavoro d’ufficio — che dovevamo iniziare a pianificare un ritorno a una "nuova normalità", che ci consentisse in qualche modo di tornare a lavorare in ufficio in condizioni di sicurezza.

Abbiamo trovato più di dieci studi che hanno evidenziato come lavorare da casa per un lungo periodo abbia un effetto negativo sulle persone. Ad esempio, il 56% degli intervistati ha dichiarato un aumento dell’ansia (Forbes), il 32% una maggiore distrazione (Upwork) e il 45% un calo di produttività (Eagle Hill Consulting). In effetti, secondo un’indagine condotta da WeWork e Brightspot Strategy, il 90% degli intervistati ha dichiarato di voler tornare a lavorare in ufficio almeno un giorno alla settimana.

Inoltre, è chiaro che vi sono diverse conseguenze negative per le aziende, oltre agli effetti complessivi sull’economia. Più della metà dei dipendenti (55%) ritiene attualmente di avere un minore collegamento con l’azienda (Morning Consult) e circa il 60% con i colleghi. Ad aprile del 2020, un rapporto McKinsey ha stabilito che il personale che lavora negli uffici riesce a stabilire più facilmente la fiducia a livello di gruppo e a prendere decisioni più rapide. Dal canto suo Nicholas Bloom, economista di Stanford, ha sintetizzato le sensazioni che abbiamo raccolto presso molte delle aziende con cui abbiamo avuto colloqui, vale a dire: "Temo che il venir meno delle interazioni dirette in ufficio avrà come conseguenza un rallentamento per quanto riguarda l’innovazione. L’odierna mancanza di nuove idee potrebbe tradursi in un minor numero di nuovi prodotti nel 2021 e oltre, rallentando la crescita a lungo termine". 

Abbiamo messo assieme un gruppo interfunzionale (su Zoom) e ci siamo incontrati tutti i giorni per quasi tre mesi. Oltre all’ufficio risorse umane di cui facciamo parte, sono intervenuti rappresentanti dei settori immobiliare, sicurezza, tecnologia, comunicazioni e operations. Abbiamo avuto frequenti colloqui con i funzionari eletti, e iniziato a indagare il comportamento dei nostri dipendenti, i risultati che stavano ottenendo altre aziende e alcuni ricercatori. 

Abbiamo deciso di chiedere ai nostri esperti aziendali di analisi dei dati che si occupano in particolare delle problematiche legate alle risorse umane di studiare il comportamento dei nostri dipendenti, per poter prendere decisioni su come tornare al lavoro in modo sicuro ed efficace. In definitiva, abbiamo adottato approcci diversi nei diversi paesi, per via delle diverse circostanze, dei provvedimenti delle autorità e delle dimensioni dell’organico. 

Che cosa ha evidenziato la nostra ricerca interna

La nostra ricerca interna ha confermato che i dipendenti si sentivano isolati e più ansiosi, e lavoravano con minore efficacia sotto diversi aspetti. La collaborazione tra le diverse funzioni risentiva del fatto che i dipendenti lavoravano da casa. Per arrivare a questi risultati, i nostri addetti hanno raccolto più di un miliardo di dati, compresi i metadati derivanti dai messaggi di posta elettronica, messaggi di Slack, ticket Jira, inviti in agenda e riunioni su Zoom, nel periodo precedente e in quello interessato dai provvedimenti di chiusura. (Questi dati non comprendevano il contenuto di nessuna di queste piattaforme, ma solo i metadati, come ad esempio quelli relativi ai campi "a", "da" e "data".) 

In primo luogo, volevamo capire per quanto tempo lavoravano le persone: dai dati è risultato che oltre 6.000 dei nostri dipendenti lavoravano, in media, lo stesso numero di ore.  

Oltre all’analisi dei metadati, abbiamo intervistato i dipendenti per valutare la loro situazione durante il periodo di chiusura e la fase iniziale del ritorno in ufficio. Il 60% dei nostri dipendenti si sentiva più isolato a lavorare da casa. Alcuni hanno anche dichiarato un calo di produttività e di efficienza, dato che è stato sottolineato dall’aumento del 250% del numero medio di partecipanti alle videochiamate Zoom. Le videochiamate sulla piattaforma Zoom non sono efficienti, e le ricerche hanno evidenziato che si può manifestare un affaticamento da Zoom, soprattutto per il fatto che il numero eccessivo di videochiamate — in particolare dopo diverse ore di collegamento — rende le persone meno lucide.

WeWork 85 Broad a New York, NY. Fotografia di WeWork.

Abbiamo riscontrato che le interazioni dirette tra il responsabile e il dipendente sono aumentate con lo smartworking, in particolare a livello di incontri diretti

Ci siamo particolarmente concentrati sulle domande relative alla collaborazione e all’innovazione, poiché entrambi sono aspetti centrali della nostra cultura aziendale e della nostra azienda. Abbiamo appreso con stupore che il numero complessivo di interazioni tra i dipendenti non è diminuito, come ci saremmo aspettati. Tuttavia, ciò che è risultato estremamente chiaro dai dati è che l’innovazione stava iniziando a risentirne: anche se le interazioni sono rimaste coerenti, quelle tra dipendenti delle diverse funzioni e regioni — il cosiddetto "anello debole" — sono diminuite di circa il 50%. I dipendenti si sono "concentrati" sulle loro funzioni e regioni esclusive nel tentativo di portare a termine il lavoro giornaliero, a scapito degli incontri con il personale di altre funzioni e regioni.  

Dal momento che la nostra cultura, la nostra attività e i nostri prodotti fanno affidamento sull’innovazione, questi risultati hanno evidenziato la necessità urgente di programmare il ritorno in ufficio. 

Adeguamento delle nostre infrastrutture

La nostra priorità principale è stata quella di poter essere in grado di rendere i nostri spazi sicuri e conformi alle disposizioni governative. Fortunatamente, i nostri addetti alle infrastrutture e alla progettazione hanno svolto un lavoro straordinario, sia per quanto riguarda i servizi riservati ai dipendenti, sia per quanto riguarda tutti gli spazi commerciali messi a disposizione dei nostri membri. Hanno ideato una strategia in tre parti: 1) introduzione del distanziamento sociale negli uffici, 2) adeguamento degli spazi fisici e 3) definizione di nuovi protocolli

Per definire il distanziamento sociale nei nostri uffici, abbiamo ridotto la capienza delle sale riunioni, delle sale conferenze, degli atri e degli ascensori. Abbiamo contrassegnato ogni spazio di lavoro con un adesivo verde per far sapere ai dipendenti dove avrebbero potuto lavorare mantenendo una distanza di sicurezza gli uni dagli altri. Gli addetti hanno inoltre installato un gran numero di cartelli in tutte le aree comuni per indurre le persone a mantenere il distanziamento. Abbiamo reso i corridoi e vani scale a senso unico per evitare possibili intasamenti e contatti diretti

Nei nostri edifici abbiamo acquisito e distribuito dispositivi di protezione individuale (DPI), erogatori di salviette igienizzanti e disinfettanti UV per telefoni cellulari, e migliorato la qualità dell’aria prolungando le ore di funzionamento dell’impianto di riscaldamento, ventilazione e condizionamento, aumentato la frequenza della manutenzione dei filtri e installato sensori della qualità dell’aria. Per quanto riguarda i nuovi protocolli, abbiamo introdotto come obbligatorio l’uso delle mascherine, il controllo della temperatura e una politica di pulizia delle postazioni in maniera tale che nessuno lasci effetti personali in ufficio. 

Riportare i dipendenti in ufficio

Nella fase di adeguamento dei nostri edifici, abbiamo anche pensato a come poter riportare le persone in ufficio in modo che si sentissero quanto più possibile sicure. Dopo aver valutato diverse opzioni e parlato con i dirigenti e il personale, alla fine abbiamo deciso di adottare una strategia in tre fasi:

  • Fase A: i dipendenti ritornano in uno qualsiasi dei nostri edifici WeWork di New York City (oltre 100) con una capienza del 25%. Questi sono suddivisi in quattro scaglioni di una settimana ciascuno, ognuno dei quali è costituito dal 25% dei dipendenti
  • Fase B: i dipendenti tornano negli spazi assegnati in uno dei nostri quattro edifici più importanti adibiti a sede centrale di New York con una capienza del 50%
  • Fase C: diversi gruppi, che collaborano con i dipendenti per mettere a punto una propria programmazione, abbinano il lavoro in ufficio al telelavoro, rispettando gli opportuni limiti di capienza per dare priorità alla sicurezza dei dipendenti e dei membri

In ogni fase, abbiamo fatto in modo che i dipendenti disponessero della massima flessibilità possibile, esattamente come abbiamo fatto con i nostri membri – dotando tutti di All Access per tutte le infrastrutture WeWork nel mondo (gratuitamente per il 2020). Nella Fase A, ad esempio, abbiamo incentivato i dipendenti a lavorare nella sede WeWork a loro più vicina, per ridurre al minimo gli spostamenti in modo da offrire la massima praticità, aiutandoli al tempo stesso a riacquistare familiarità con quello che sarebbe stato il probabile rientro in ufficio dopo molti mesi di assenza.

Quando sono rientrati al lavoro i primi quattro scaglioni della Fase A, abbiamo condotto dei sondaggi presso i dipendenti raccogliendo riscontri e suggerimenti individuali, sulla base dei quali abbiamo introdotto delle migliorie nei successivi scaglioni per organizzarci in funzione di una capienza del 50% durante la Fase B. Circa il 40% dei dipendenti non è rientrato in ufficio durante la Fase A perché dovevano accudire i figli piccoli, per problemi di salute o perché trasferiti in città in cui non vi erano sedi WeWork. A questi dipendenti abbiamo concesso la flessibilità di continuare a lavorare a distanza. Abbiamo altresì riscontrato nel sondaggio che il 33% dei dipendenti alla fine si è recata al lavoro a piedi, il 35% ha preso i mezzi pubblici, il 18% è andato in auto e il 14% in moto o in bici. 

Per quanto riguarda la Fase B, è tornato al lavoro un altro 13% dei dipendenti, la maggior parte dei quali a settimane alterne. Nella Fase B, la maggior parte dei dipendenti ha potuto tornare al lavoro da altre città e, in molti casi, occuparsi anche dei figli. Abbiamo avuto un gran numero di richieste di flessibilità temporanea (da settimane a diversi mesi) e le abbiamo soddisfatte praticamente tutte. Nella Fase B, abbiamo riscontrato che più del 40% dei dipendenti ha dichiarato che la collaborazione era aumentata. 

WeWork 725 Ponce ad Atlanta, GA. Fotografia di WeWork.

Gli aspetti logistici della Fase C sono stati complessi e hanno richiesto una stretta collaborazione tra gli incaricati e la dirigenza per mettere a punto una programmazione per il personale che tenesse ugualmente conto della sicurezza, delle richieste dei dipendenti, della collaborazione diretta tra gruppi e della capienza degli edifici. Ci sono volute circa due settimane di lavoro sui casi specifici, ma alla fine siamo riusciti a venire incontro alle esigenze di tutti. Ora sono stati messi a punto programmi che prevedono il rientro in ufficio del personale a settimane alterne, per diversi giorni alla settimana, un giorno sì e un giorno no e altre varianti. 

La parola ai dipendenti

Nel nostro sondaggio di follow-up, oltre il 70% dei dipendenti si è dichiarato soddisfatto delle modifiche apportate agli edifici e il 67% ha affermato che l’esperienza complessiva del ritorno al lavoro è stata "buona" o addirittura "ottima" — un risultato incoraggiante se si considera che inizialmente solo il 27% dei dipendenti non vedeva l’ora di tornare in ufficio. Man mano che uno scaglione di dipendenti tornava in ufficio, i dipendenti dello scaglione successivo si sono sentiti più a loro agio. 

Anche se abbiamo inviato comunicazioni a livello sia dell’intera azienda, sia delle diverse funzioni, in ultima analisi sono stati gli scambi di opinioni tra colleghi WeWork sull’esperienza e sulla soddisfazione del rientro al lavoro e il passaparola che hanno fatto sì che i nostri dipendenti si sentissero a loro agio. Analogamente, per la Fase B, abbiamo riscontrato che i dipendenti hanno beneficiato della flessibilità loro offerta di concordare programmi individuali. Questa flessibilità si è protratta e ha subìto un’evoluzione nella Fase C, e attualmente riteniamo di aver trovato il giusto equilibrio, con praticamente tutti i dipendenti che lavorano in parte da remoto e in parte in ufficio.

Anche se riconosciamo che il nostro approccio potrebbe non funzionare per tutte le aziende e le organizzazioni, speriamo che il nostro percorso e quanto abbiamo appreso saranno di aiuto a tutti coloro che programmano e attuano il ritorno del personale in ufficio.

Matt Jahansouz è Chief People Officer di WeWork, responsabile per le assunzioni, l’impegno e il benessere del personale globale dell’azienda. Jahansouz collabora con il nostro gruppo dirigente alla definizione e all’attuazione di iniziative strategiche riguardanti i talenti che influiscono positivamente sulla nostra cultura e portano avanti i nostri obiettivi commerciali e finanziari. È responsabile di tutti gli aspetti relativi al personale, compresi la gestione dei talenti, l’inclusione e la diversità, le retribuzioni e i riconoscimenti, la progettazione dell’organizzazione e l’erogazione di prestazioni ai dipendenti nell’ambito delle risorse umane. In precedenza Jahansouz è stato amministratore delegato di Goldman Sachs & Co., azienda per la quale ha ricoperto diversi ruoli nel settore delle risorse umane, tra cui quello di responsabile globale per le assunzioni, responsabile globale per la gestione dei talenti, responsabile per la strategia delle risorse umane e di capo del personale. Jahansouz ha iniziato la carriera presso Deloitte Consulting LLP, occupandosi dell’attività di consulenza relativa al capitale umano della società.

Tom Osmondè il CEO responsabile del personale e responsabile globale delle retribuzioni totali. In questa veste, Osmond si occupa della supervisione delle operazioni, delle infrastrutture, dei sistemi, delle analisi, delle comunicazioni, delle retribuzioni, dei trattamenti integrativi, della mobilità e dell’amministrazione patrimoniale di WeWork. In precedenza Osmond ha lavorato presso BlackRock, azienda per la quale ha contribuito alla supervisione della trasformazione pluriennale della funzione delle risorse umane, tra cui la progettazione dell’organizzazione, la tecnologia, i processi gestionali e il modello operativo. Prima di approdare in BlackRock, Osmond ha lavorato per 14 anni in Goldman Sachs & Co., ricoprendo tutta una serie di ruoli nell’ambito delle risorse umane, tra cui quelli di responsabile delle assunzioni, responsabile della formazione e responsabile delle infrastrutture e dell’analisi del personale. Osmond ha iniziato la carriera nell’ufficio risorse umane di PricewaterhouseCoopers e di United Parcel Service.

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